UN
AMORE SUPREMO
(album
di John Coltrane)
Come
una qualsiasi tribù d’Africa
o
d’America
i
quattro officianti radunano i loro oggetti sacri,
si
dispongono in cerchio,
lo
sguardo verso i fedeli (ed i miscredenti)
seduti
in attesa.
Il
sacerdote, alto ed imponente,
dà
il via alla ritmica ed inizia il canto.
Dal
suo strumento dorato estrae
una
voce potente, decisa.
La
musica è vitale, aggressiva,
ma
sembra non muoversi:
sta
cercando la strada per arrivare a Dio
ed
è una strada contorta,
cercata
scivolando tra i ghetti di Harlem,
superando
le barriere del razzismo, della droga,
della
disgregazione.
Una
voce aspra sta officiando un canto a Dio,
di
speranza disperata.
E
le note si cercano per indicarsi la via, incerte,
poi
lentamente si ripetono come salmodianti:
DA
DA DA DA, DA DA DA DA,
A
LOVE SUPREME, A LOVE SUPREME.
Un
amore supremo.
E
via via a ripetersi in una spirale sempre
più
rovente e vitale:
la
ripetitività di tutte le musiche religiose
a
diretto contatto con l’improvvisazione jazz.
Uno
scontro ed un incontro
per
una musica che non è consolatoria,
anche
se vuole consolare.
Per
una musica che lotta per arrivare alla pace
interiore, ma che lo fa contro tutto l’ambiente esterno.
interiore, ma che lo fa contro tutto l’ambiente esterno.
E
c’è spazio anche per gli altri officianti
con
i loro interventi più pacati ma pieni di vigore:
ormai
siamo alla fine, pensano i fedeli.
Invece
come se tutto quello detto fino a quel momento
fosse
stato solo una preparazione, s’innalza un pianto.
La
voce di tutta l’umanità che soffre, ruggisce
nel
pianto virile, di speranza ed incertezza
del
finale che si chiama SALMO ma che è la voce
più commossa e commovente che si rivolge a Dio,
da decenni a questa parte. Il ruggito
dell’animale ferito, la speranza dell’umile che cerca
più commossa e commovente che si rivolge a Dio,
da decenni a questa parte. Il ruggito
dell’animale ferito, la speranza dell’umile che cerca
la
strada con una voce di rabbia non ancora sedata.
I
tamburi picchiano forte,
il sax emette gli ultimi lamenti.
il sax emette gli ultimi lamenti.
La
messa è finita.
poesia e disegno di
Alberto Arienti
Alberto Arienti
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