George Wein discusses Miles Davis and the Newport Festival
Dopo aver analizzato parzialmente la
genesi dei dischi di Davis, possiamo fare un po' di
considerazioni.
La prima cosa che si nota è che è stata cambiata
la funzione del disco che è sempre stata quella di riprodurre al
meglio i suoni reali. Il disco come mezzo il più trasparente
possibile, per cui ascoltare un concerto di Bach o uno di Coltrane
dal vivo o a casa propria, non dovrebbe cambiare molto, anche se poi
sui dischi in studio dei miglioramenti vengono apportati, magari
scegliendo le sequenze mgliori.
Su questi aspetti di miglioramento, è da ricordare l'approccio un
po' maniacale di Glenn Gould per creare un "disco perfetto",
oggetto artistico irripetitile in esecuzioni concertistiche.
Atteggiamento provocatorio che non nasconde le operazioni di
perfezionamento ma le enfatizza per ottenere la "perfezione".
Da
ricordare anche Lennie Tristano che è arrivato a modificare la
velocità di esecuzione di un tema per ottenere uno specifico effetto
non realizzabile altrimenti.
Solo col pop però si è verificata la necessità di fare interventi importanti per portare il
prodotto finale aun livello accettabile. Inizialmente la motivazione nasceva per via di una
scarsa qualità degli interpreti, per cui invece dei musicisti dei
gruppi si usavano musicisti di studio, ma per le voci che rimanevano le stesse,necessitavano
molti rifacimenti, ritocchi, correzioni, effetti speciali che
contribuivano a nascondere le magagne. Successivamente l'utilizzo di
effetti speciali e e di montaggi sovrapposti è diventato parte della
costruzione del disco pop.
In questo senso la produzione di
Davis di quel periodo è assimilabile concettualmente più a un
prodotto pop ed è lontana miglia e miglia dall'ideologia del jazz.
In fondo questi dischi sono più vicino, come spirito a "Sergent
Pepper" che a "A love supreme" o "Kind of
Blue".
In ogni caso, il disco passa dall'essere
un'accurata riproduzione di una musica suonata effettivamente in quel
modo, per diventare il prodotto finale dopo una successiva operazione
compositiva che, invece di essere fatta sugli spartiti e in diverse
fasi di prove orchestrali, è effettuata in sede di montaggio. Un
approccio anche molto vicino alla musica contemporanea seria che
lavorava sui registratori ed elettronica,anche se utilizzava
materiale più grezzo.
E questa novità ci mette di fronte a un
nuovo fatto: nessun live potrà mai essere simile al disco, e non per
ovvio differenze di esecuzione, ma per la differenza d'approccio.
E
su questa unicità del prodotto musicale finale, è stata costruita
una bella fetta di giudizi (positivi e negativi) del percorso del
Davis elettrico, dimenticandoci che quei dischi andavano "oltre"
la normale produzione, proprio per la loro particolarità
costruttiva, ma anche perchè per Miles dovevano essere dei
"manifesti programmatici" da mostrare a tutti e da
sventolare spregiudicatamente. Eventi speciali su cui si è costruito
un mito.
La diffidenza di molti appassionati e critici di jazz non nasceva solo dall'apparente contaminazione col rock per via dei ritmi o del groove, ma anche da questa nuovo atteggiamente nei confronti del disco, ovvero del disco come opera d'arte autonoma.
Potremmo anche dire che Davis ha unito due approcci apparentemente contrastanti (ecco che ritorna il concetto di duale ma anche di antitetico): una libertà d'approccio nel suonare il materiale sinteticamente proposto che poi viene razionalizzata e inserita in un'architettura globale, successivamente in sede di editing: l'improvvisazione jazzistica reinquadrata in una visione meditata di collage sonoro. Un'abile escamotage per produrre musica viva, libera e improvvisata senza perdere il controllo del materiale sonoro finale.
Chissà cosa sarebbe successo se un approccio simile fosse stato adottato da John Coltrane ed Ornette Coleman per le loro opere "Ascension" e "Free jazz".
Esisteva però anche una lunga serie di concerti, quasi tutti documentati (non credo casualmente) in ritardo, e quindi si è via via creata una dinamica tra le due produzioni, con i live che ovviamente, erano prodotti musicali diversi dalle icone registrate. Alcune differenze erano strettamente legate dall'approccio più aggressivo e sintetico (e poco alla ricerca dell'atmosfera) delle esibizioni in concerto, approccio ritenuto indispensabile da Davis per tenere in pugno un pubblico spesso di cultura rock come era quello dei suoi concerti in quel periodo. Nessuna volontà a proporre affreschi ad ampio respiro ma solo musica concretamente legata a un'estetica che cercava l'impatto sonoro. Altre differenze si aggiungevano per via di una dimensione più ridotta dei gruppi e l'impossibilità di riproporre tutte le raffinatezze di studio. Da un punto di vista jazzistico, queste esecuzioni erano ancora nello spirito originario, nonostante le strizzate d'cchio alla musica più giovanile, se non altro per l'alta qualità degli assoli.
Resta da chiedersi quanto abbiano fatto
cambiare opinione le pubblicazioni dei cofanetti: essendo arrivate
con un deplorevole ritardo, sicuramente non hanno stravolto i giudizi
critici, visto che col tempo tutta la produzione elettrica (anche "On
The Corner" e successivi dischi) è stata rivista e commentata
in maniera posititiva, con le stroncature originarie trasformate in
"curiosità d'epoca".
E se il loro apporto non ha quindi
dovuto ribaltare giudizi ormai rilbaltatisi nel tempo, questi
integrali hanno semmai documentato una fertilità di idee, una voglia
di sperimentazione ed una qualità strumentale, che in certi momenti
(ad es, il 1969) è sembrata semplicemente mostruosa.
Rimane il
fatto che la gestione particolare della discografia davisiana
consente tre percorsi di fruizione che possono anche generare
confusione:
- I dischi ufficiali di studio (quattro omogenei più
un po' di compilation non cronologiche)
- I live ufficiali, quasi
tutti pubblicati con grande ritardo
- Gli integrali che ripropongono i
dischi nella versione finale e le versioni originali non editate con
l'aggiunta del materia inedito e di quello pubblicato nelle
compilation.
E questo percorso multiplo complicato, per i giovani
che ascoltano Spotify, temo che non sarà spiegato da nessuno.
Forse un cofanetto con un'abbondante sintesi cronologica della produzione ufficiale e di quella riamsta nei cassetti, Una specie di via di mezzo tra la discografia e i cofanetti, aiuterebbe tutti ad inquadrare meglio questo periodo ed a farlo gustare con maggior comprensione.
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