Ritratti, poesie, grafica e testi che frullano nella mia testa e ruotano attorno al jazz.
venerdì 4 novembre 2016
Billie HOLIDAY(1915-49)
La più grande cantante di jazz di tutti i tempi, la vocalist che ha portato
la canzone a livelli di semplicità e sofisticazione inimmaginabili.
Senza apportare grandi cambiamenti alle canzoni (solo qualche ritardo, delle
emissioni un po' sillabate, un gran relax nell'approccio che nascondeva
un perfetto swing) le faceva diventare un'opera jazz.
Cantava come fosse un solista dell'orchestra (suo modello l'amico Lester Young)
eppure non faceva mai scat o improvvisazioni azzardate.
Fu una grande diva negli anni 30-40, ma la sua vita disordinata, raccontata in un libro
e poi in un film, l'hanno portata ad un declino inesorabile.
La sua voce, prima acuta e un po' metallica, divenne rauca ed
ansimante. Eppure anche in questo periodo finale (ahimè più documentato
di quello precedente) sa trovare degli accenti incredibilmente
pertinenti ed una visione totalmente jazzistica del suo dolore.
The Quintessential Billie Holiday, Vol. 1 (1933-1935)
Columbia Legacy
Il primo di quattro volumi imperdibili, validi anche gli altri tre.
The Commodore Master Takes (1939.44) GRP Quando incideva
per la Columbia e poi per la Decca, alcuni brani non poteva inciderli.
Lo faceva su questa piccola etichetta. Tra gli altri il famoso Strange
Fruit, tremendo atto di accusa contro il linciaggio dei negri negli
stati del sud
The Complete Decca Recordings (1944-50) GRP .Durante il
periodo Decca Billie era una diva e veniva servita come tale, grandi
orchestre d'archi, cori, orchestre swing e così via. Non il massimo per
una jazzista ma pur sempre di alto livello, specialmente con una buona
selezione di brani, come in questo doppio cd.
Lady in Autumn: The Best of the Verve Years /1946-59) Verve
La parte finale
della carriera è un lento discendere nell'inferno esistenziale. Le
emozioni sono forti (e non tutte strettamnete musicali) ma ci sono
gemme in grande quantità. Grandi solisti di contorno.
Lady in Satin (1959) Columbia/Legacy Il penultimo album
è il suo testamento (l'ultimo non avrebbe mai dovuto essere
pubblicato). Con l'orchestra d'archi di Ray Ellis, Billie ci racconta
dei suoi amori più come una grande attrice che come una cantante. Ma
alcuni brani ("I'm a Fool to Want You," "You Don't Know What Love Is,"
"Glad to Be Unhappy," e "You've Changed") sono indimenticabili. Una
ferita che non si rimargina.
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